Gita al faro, un continuo flusso di coscienza…

(di Alessia Liso) Gita al faro di Virginia Woolf, pubblicato per la prima volta nel 1927, è un continuo flusso di coscienza che esplicita le menti dei personaggi fin dalla prima pagina. E’ un libro modernista, figlio della psicologia freudiana che si prende l’impegno di collocare l’introspezione dei personaggi al di sopra della trama che diviene unicamente una cornice capace di imbottigliare  i pensieri dei singoli. Il libro si divide in tre parti: viene narrata la vita della famiglia Ramsay, il cui cardine è rappresentato dalla Signora Ramsay.

L’intera storia prende forma nel momento in cui nasce il desiderio di andare al faro, desiderio che potrà essere realizzato solo nell’ultima parte.

Il libro vive nell’arco di tempo interposto tra la proposta del faro e la sua realizzazione. La Woolf riesce ad accantonare i limiti temporali per poi sovrapporre i tempi psicologici, riuscendo a dare vita ai molteplici pensieri dei singoli personaggi che s’inseguono tra loro. In tempi in cui siamo soliti ad andare di fretta, in cui tendiamo a voler appannare la nostra mente per occultarne i pensieri, la Woolf ci insegna l’importanza delle singole sensazioni, la fluidità del tempo e la necessità di lasciare un segno nel mondo, qualcosa che possa continuare ad esistere nelle persone che rimangono. Finita la lettura, è possibile, almeno per un attimo,  non riuscire a distinguere il flusso di pensiero dei personaggi dal proprio.