Cecità, Saramago e la vera storia dell’uomo

(di Alessia Liso) “Cecità”di José Saramago, pubblicato nel 1996 edito Einaudi, mette a nudo la vera natura dell’uomo scardinando ogni principio morale ancorato al concetto di umanità.

libro esterna un mondo afflitto da un’epidemia di cecità, la quale, diversamente dalla tradizionale malattia, porta il malato a vedere tutto ciò che lo circonda bianco. Questa cecità prende qualunque individuo indipendentemente dal ceto, dal ruolo che ha nella società, dalla religione o dal suo avere o meno la coscienza pulita. Tutti i contagiati sono poi rinchiusi in un manicomio che diviene luogo in cui la bestialità dell’uomo prevale sul suo senso morale, l’egoismo sulla solidarietà, la fame sulla razionalità.

Non esistono più persone la cui identità è definita da nome e cognome ma, piuttosto, individui che si riconoscono per il tono della voce o per la ruvidità delle mani. Non esistono più ladri e vittime, giudici e accusati ma divengono tutti vittima dell’egoismo altrui e giudici di se stessi. L’uomo non è che una canna pensante come dice il filosofo Pascal ma, nel momento in cui la sua capacità di raziocinio viene meno, è solo una fragile canna soggetta ai venti contrari. Ma se l’autore pone dinanzi a noi questa ceca umanità che ha perso la fatidica lotta tra il bene e il male divenendo bestia, una, tra i contagiati, si distingue per una bontà d’animo tale da rappresentare l’eccezione che Saramago ci concede in cui riporre la nostra speranza.

Non è un romanzo distopico, ma è la narrazione di una realtà nascosta nella nostra quotidianità che cerchiamo di considerare lontana da noi e da ciò che siamo. Pertanto, riprendendo le parole dell’autore,“siamo ciechi che, pur vedendo, non vedono”.